Diagnostica per i beni culturali

La diagnostica non invasiva ha ricoperto nel corso degli ultimi anni un ruolo sempre maggiore nella caratterizzazione dei materiali impiegati e nella definizione dello stato conservativo delle opere d'arte; caratteristica fondamentale delle tecniche impiegate è il totale rispetto dell'oggetto indagato: senza necessità di prelievi o campionamenti è possibile ottenere una serie di dati utili, ad esempio, al riconoscimento dei pigmenti impiegati da un artista in una data opera, o alla mappatura dei difetti subsuperficiali in pareti affrescate.

Molteplici sono i campi dì impiego e le informazioni ricavabili da una campagna d’indagine ben studiata e progettata in accordo alle specifiche necessità, seguendo un protocollo in tutto e per tutto rispettoso dell’oggetto indagato che vede il primo approccio all’opera d’arte effettuato con metodologie di studio non invasivo. Qualora poi fossero necessari ulteriori verifiche è possibile effettuare anche analisi su microprelievo finalizzati, ad esempio, alla datazione dei supporti o al riconoscimento della sequenza stratigrafica, del particolare legante pittorico o ancora della vernice superficiale.

Per ogni specifica esigenza verranno proposte le analisi più appropriate seguendo un approccio graduale e rispettoso.
Attraverso un network di competenze - collaborando con professionisti e istituti pubblici o privati - tra le diverse analisi possibili, le più diffuse sono:
• Termografia
• Fluorescenza ultravioletta
• Riflettografia infrarossa
• Infrarosso falso colore
• Analisi dei materiali
• Analisi pigmenti
• Colorimetria
• Radiografia
• Datazioni

Analisi d’immagine

Le analisi d'immagine permettono una valutazione globale dell'opera con la possibilità di estendere le informazioni puntuali ottenute con le tecniche spettroscopiche.

  • Fluorescenza ultravioletta (UVF)
  • Riflettografia in infrarosso (IRR)
  • Infrarosso falso colore (IRC)
  • Radiografia (RX)
Le analisi in fluorescenza ultravioletta, note anche come analisi in lampada di Wood, consistono nello studio della risposta nel visibile di superfici pittoriche sottoposte a illuminazione mediante radiazione ultravioletta di tipo UVA con emissione massima a circa 365 nm; la componente visibile emessa dalle sostanze (radiazione di fluorescenza) può essere quindi registrata fotograficamente. La fluorescenza UV, che riguarda maggiormente i materiali organici e poco quelli inorganici, aiuta nell’individuazione di integrazioni e ridipinture realizzate con pigmenti e/o leganti differenti da quelli originali. La tecnica rimane limitata allo studio della superficie pittorica visibile, non essendo le radiazioni ultraviolette penetranti rispetto agli strati di colore, e la sua fluorescenza è condizionato dal tipo di pigmenti, di legante e dalle eventuali verniciature, originali o di restauro, nonché dall’invecchiamento delle stesse.
La riflettografia è una tecnica per immagine che si basa sulla raccolta, da parte di una opportuna telecamera, della radiazione dell’infrarosso vicino (near infra red, o NIR, compresa tra 0,75 e 3 micron) riemessa da una superficie opportunamente illuminata. Grazie alla trasparenza di alcuni strati pittorici a tale radiazione, è possibile individuare particolari altrimenti celati alla vista. La loro visibilità è vincolata non solo alla trasparenza nella banda infrarossa adoperata dei pigmenti e dei leganti, ma anche alle concentrazioni dei pigmenti dentro i leganti e allo spessore di ciascuno strato pittorico, oltre che alla non trasparenza in infrarosso del medium disegnativo usato dall’autore. E’ inoltre necessario che esista un supporto (preparazione della tela o della tavola, o tela stessa) sufficientemente riflettente da consentire la riflessione della componente infrarossa della radiazione incidente sul dipinto verso l’obbiettivo del sistema adoperato per le riprese.
La scelta della specifica apparecchiatura dipende dalla risoluzione richiesta all’immagine, dalle condizioni logistiche (collocazione del dipinto e accessibilità), quindi dal tipo di pigmento da esaminare e dal medium disegnativo impiegato dall’artista, dato che alcuni medium disegnativi possono diventare trasparenti in alcune bande del vicino infrarosso.
L’infrarosso falso colore è una tecnica d’analisi d’immagine che permette la discriminazione di materiali differenti attraverso la loro diversa risposta nel vicino infrarosso. Acquisendo in una stessa immagini segnali di una banda dell’infrarosso e di alcune del visibile è possibile attribuire dei falsi colori all’immagine e classificare così materiali disomogenei, anche se simili nel visibile. Attraverso questa tecnica è possibile anche una prima distinzione dei pigmenti impiegati, mappando le aree affini e riconoscendo anche la presenza di ritocchi e reintegri eseguiti con elementi dissimili dagli originali. Il range spettrale tradizionalmente impiegato per acquisizioni su pellicola è compreso tra i 500 e i 900 nm (IRC tradizionale), mentre ora, con l’avvento della fotografia digitale, l’intervallo è stato esteso fino ai 1000 nm (IRC esteso).

Analisi spettroscopiche

Molte sono le tecniche non invasive per la diagnostica e il riconoscimento dei pigmenti, ma poche sono veramente portatili e facilmente applicabili in loco. Vengono qui presentate alcune tra le più diffuse metodologie che permettono, nella maggiornaza dei casi, di ottenere informazioni precise ed esaustive, soprattutto se abbinate alle analisi d’immagine.

  • Spettrometria in riflettanza (RS)
  • Colorimetria
  • Analisi XRF (EDXRF)
La spettrofotometria, o spettrometria in riflettanza, è una metodologia di analisi di tipo puntuale che consente di ottenere un grafico (curva o firma spettrale) che indica l’andamento del fattore di riflettanza spettrale della superficie di un corpo in funzione delle lunghezze d’onda della radiazione impiegata, nel nostro caso la componente visibile della radiazione elettromagnetica. Per riflettanza diffusa si intende il rapporto tra energia della radiazione riflessa dalla superficie esaminata ed energia incidente e viene misurato per ogni lunghezza d’onda con uno spettrofotometro. Pigmenti e colorati presentano massimi, minimi, flessi e altre caratteristiche distintive in posizioni relativamente fisse del grafico di riflettanza; essendo la firma spettrale caratteristica del pigmento considerato, la spettrofotometria rappresenta una tecnica fondamentale per il riconoscimento dei pigmenti dello strato superficiale, sia organici che inorganici.
Dallo spettro di riflettanza è possibile ottenere anche misure colorimetriche. I dati colorimetrici sono espressi attraverso le coordinate cromatiche, o valori tristimolo, secondo lo spazio cromatico CIE L*a*b* (standard definito dalla Commission Internationale de l’Eclairage, 1976), ossia luminosità (L*), stimolo verde-rosso (a*) e stimolo blu-giallo (b*). L’acquisizione colorimetrica permette non solo di conoscere e fissare quantitativamente e in modo univoco e universalmente riconosciuto lo stato dell’arte del colore – come impossibile ad esempio in fotografia – ma anche di documentare e quantificare sotto il profilo cromatico l’effetto di successivi interventi di pulitura dell’opera, così come gli effetti causati dall’invecchiamento, da patine di sporco e altri fenomeni di alterazione. Un’analisi che assume interesse fondamentale in proiezione futura, testimoniando in modo assoluto lo stato di colore dell’opera, o di alcune sue zone scelte come riferimento, al momento dello svolgimento delle misure.